martedì 10 giugno 2008

Luigi Romolo Carrino - Incombenza del quando penso a te

È rimasta la notte. Il vino storto. Le birre forti. Quando penso a te dico l’errore e ho l’ansia qua e non se ne va, non se ne viene. La casa al mare, o solo la casa dove stare senza più disegni, senza tracce di sangue sulle pareti, senza specchi, ma questo divano nuovo comprato da Ikea, pezzentello, e gli angeli di Mariagrazia. Quando penso a te non riesco a scrivere una poesia che ti dica e mi pare che ogni cosa sia troppo letteraria per saperti, per farti un ritratto. È rimasta Milano 3 giorni a settimana, a volte quattro. Fare la borsa, dimenticare i calzini, quel libro di un altro Dino, quel libro del pazzo che ti somiglia, che non sei tu, il nome che non dici mai a bassa voce, il nome che ti fa danno e follia, che ti fa mio. Ogni cosa se ne va e se ne viene nella bocca, nella testa, e mi pare che tutto quello che oggi, mi pare, che tutto quello che oggi ho, mi pare che non vale niente senza di te, che non mi resto e non mi manco.

Pare che quando penso a te c’è vento e ho freddo, poi ho caldo, poi ho freddo, poi chiudo la finestra e leggo due righe di Proust da “La Prigioniera”:

Fin dal mattino, la testa girata ancora verso il muro, e prima d’aver visto, sopra le grandi tende della finestra, di che sfumatura fosse la striscia di luce, sapevo già che tempo faceva.

Quando penso a te dico che stai chissà a fare che, che stai a fare niente sulla porta, in macchina, dentro a un pezzo del mondo che ci vuole così, in due posti diversi. Che stasera sei Ela la Vendetta, che stanotte sei maledetta nei tuoi tacchi 12, nei tuoi capelli biondi come il pane, nella gioia di un coltello che devi nascondere tra le palle per proteggerti, difenderti dal solo te, dall’animale che ti scopa e ti fa sentire bella, bella e basta. Rimane solo la notte quando penso a te, che non mi vuole dormito, che non mi scende nel sonno. Se la notte io questa me lo permetto, di pensare a te, dico, allora io mi penso come a te che vieni con i capelli ricci, mi baci e resti via. Mi baci e mi perdoni tutto il tempo che sono stato lontano, le ore che ho sottratto alle nostre spalle. Ma credimi, è stato per decidermi, è stato per mangiarmi minuto per minuto ogni inutile saluto fatto con la mano sinistra, la mano sbagliata. Ma credimi, è stato per poco, non sono stato via così tanto, non sono stato via, vero?

Ora però si è fatto tardi, e me ne devo andare. Ma non salutarmi così, come se fosse solo così, l’addio qualunque e un paio di scarpe nuove, una maglietta nuova che sostituisce quella bucata, quella nera che non metto più ormai. Non salutarmi senza vedermi, io non ce l’ho più quella voglia di stare, qui. Ho tanto cose da fare domani, devo dormire.

È restata la notte, il wisky, una bottiglia di vino, vuota. Una busta della mondezza che devo buttare, due pacchetti di marlboro aperti sul tavolo di vetro, “sulo pe’ parla’” che canta Alessio, un paio di calzini ancora umidi, il dizionario di retorica, 3 bollette del condominio arretrate, Mariagrazia che sta a Napoli, un pizzico d’erba che non basta a farsi ‘na canna, il booklet dell’ultimo disco di Morgan macchiato di caffè, sono restate tutte queste cose e io, quando penso a te, penso che si è fatto tardi, e me ne devo andare.

3 commenti:

Fabio Paolo Costanza ha detto...

Gustatevi piano questo capolavoro

Berto ha detto...

molto bello,
ciao.

Anonimo ha detto...

ogni volta che guardo il video o leggo il testo provo la stessa emozione della prima volta...è veramente bravo questo Carrino